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Mario Luzi: “Essere nelle Ferite”

25 Agosto 2021

A me sembra sia necessario che la sua poesia non solo vada letta ma anche riletta.
Mi rendo conto delle centinaia di studi che si sono occupati della profondità dei suoi versi e del suo pensiero, per tentare di entrare nel vivo di una poesia, che ha caratterizzato la letteratura italiana e mondiale del novecento.
Esercizio complicato per un poeta che ha dominato la storia della poesia per circa 70 anni, dal 1935 fino al 2005, anno della sua scomparsa.
Ecco perché cercherò umilmente di pormi, come amante della poesia, di fronte a questo gigante, come colui che non può che procedere per fragmenta di sensazioni e scoperte.
Senza alcun dubbio, Mario Luzi è stato creatore e testimone della grande poesia del ‘900, soprattutto se pensiamo alla sua cifra sacrale e alla sua capacità morale e sovversiva insieme.
Luzi, attraverso la poesia, ci ha messi di fronte ad alcune grandi domande capitali che, almeno una volta, ognuno di noi si è posto: che senso ha la vita per l’uomo, il suo futuro, il suo stesso esistere e se la poesia ha la capacità di dare delle risposte, se ha in sé la proprietà di conoscere la verità e costruire un rapporto con essa.
E questo accade fin dall’inizio, con il suo primo libro, quando, all’incontro della parola con ciò che è oltre la vita, siamo con lui a domandarci cos’è l’amore, quello umano e quello più grande e misterioso che è al di là della nostra essenza mortale.
Bisogna salire sulla barca materna della poesia per rispondere.
Seguirlo è intraprendere un viaggio verso l’ineffabile e verso la luce, a patto di immergerci, come fa lui poeta, nella controversia del reale e nel magma della vita.
Questo viaggio, così pieno di immagini poetiche umanamente dolorose, consente al poeta di porre una questione cruciale: se l’uomo malato di morte non può fermare il suo tempo, quello stesso tempo che, tuttavia, è atto della creazione del tutto e come salvarsi dal nulla, come ascoltare chi questo e quel tempo ha creato?
Luzi indica una strada da percorrere per cercare la soluzione: quella dell’anima, dell’anima che è in tutte le cose, nell’albero, nel fiore, nella pietra, nell’animale, nell’essere umano e la cui salvezza è nel desiderio che quest’anima esista davvero.
Luzi eredita da Firenze il concetto ermetico stilnovistico della barca che è un chiaro riferimento dantesco. Infatti troviamo proprio questa immagine nel famoso sonetto di Dante.

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi. (1)


Dante dunque invita i suoi amici e sodali ad entrare nella barca della poesia.
Così Luzi, oltre a invitare i suoi amici, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Carlo Bo, Leone Traverso e la poetessa e scrittrice Cristina Campo, nonché l’importante e instancabile critico Oreste Macrì, dice anche a noi di venire a bordo, con lui, sulla sua barca, per ragionare di poesia e risalire dalle foci dell’esistenza alle sue origini.

“Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il ciel s’inarca
e torna al mare… (“Alla vita”) (2)


“La Barca” è uno straordinario libro, in cui si respira di nuovo l’aere stilnovistico e in cui è possibile rintracciare gli stessi motivi di quella antica tradizione letteraria e poetica: il nascere dell’amore, i sussulti del cuore, i nascondimenti che sono nella “ Vita Nova”.
Barca, ricorda Valerio Nardoni, come fragile incontro della poesia con l’altrove, e anche dell’adolescente contenuto in un corpo che ha in sé una primavera ininterrotta. (3)

“ Spicca il volo anima mia”, insetto dell’amato giardino della memoria.

“ E m’inoltro sospeso, entro nell’ombra
dubito,mi smarrisco nei sentieri …
… quando il vento della memoria spira
sparge e aduna indicibili me stessi …”
(4)

La poesia nasce e rinasce come cammino, viaggio conoscitivo, itinerario che poi ricomparirà in quel capolavoro successivo che è “Il viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”; quasi un romanzo in versi, in cui Luzi segue il ritorno di Simone Martini a Siena, ma che metaforicamente è viaggio e ritorno dell’anima alla dimora del significato profondo della esistenza e della poesia, lungo la strada a tutti nota verso la morte.
Un ripercorrere quel semplice viottolo, con trepidazione calcato da chi al buio, nella notte della vita, esce per cercare un po’ di legna da ardere perché si possa vedere “la casa” illuminandola.
E sempre sull’orlo del buio, proseguire, nonostante il sopore dell’incertezza e dell’ignoto; farsi terra, per poter riprendere il viaggio dalle radici e poi tornare su, su, in alto, a fiorire, in una nuova rivelazione che sorregga lo stupore che si prova davanti a tutti i segni dell’inesprimibile mistero della creazione.
Luzi scrive una poesia che s’immerge “per cifre”, per barlumi, nella essenza trascendente del mondo; poesia che, per essere creata, deve diventare essa stessa trascendente, salendo su una barca dalla quale poter guardare da lontano.
S’avverte un senso sacrale, il flusso delle cose, il perdersi e il ritrovarsi al cospetto di quel simbolico fiume sul quale navigare, così essenziale per la sua opera poetica, contro l’inesorabile mutare e incalzare degli eventi.
Sento nella sua poesia il tempo della vita che fluisce e che cerca conforto e rimedi e speranza per riconsacrare il caos.
Torniamo allora a Dante.
Come ricorda acutamente Paola Baioni nel suo saggio “ Mario Luzi e l’umanesimo fiorentino” (5) , il Sommo Poeta nasce, vive e compone la sua opera, prima dell’Umanesimo e, però, non ci sono dubbi che si sia ampiamente preoccupato dell’uomo e della sua salvezza attraverso idee e valori fondanti come la giustizia, la pietà, la virtù e la sapienza. Bene, così come Mario Luzi farà nel ‘900, Dante ha unito la poesia e la letteratura al sacro e alla idea di una religiosità salvatrice.
Un “umanesimo cristiano” dunque che precede di secoli quell’umanesimo integrale, alla Maritain ( 6) , abbracciato, se pure con diverse differenze, da Luzi e dai poeti fiorentini della sua epoca, tra cui quella Cristina Campo, che tanto amò il nostro poeta.
Ma altro poeta è stato importante nel“ viaggio” terrestre dell’anima di Luzi e della sua poesia: Giacomo Leopardi. Un filo tenace ha legato sempre i due poeti in un dialogo che è stato anche una verifica costante di ciò che li differenziava.
Se Leopardi è pronto a disconoscere la bontà degli dei nei confronti dell’uomo rivendicando a questi solo la discendenza da Prometeo, vero padre della umanità, Luzi, pur avvertendo una frattura fra uomo e Dio, non crede che l’uomo si isoli da questo rapporto, ma tenda a ritornare al Padre, che non disconosce e di cui vuole l’amore. La stessa
idea dell’umanità di Leopardi è diversa da quella di Luzi: mentre per il primo, l’uomo è uno straniero (“Le Ricordanze”, “Il Tramonto della Luna”) per Luzi ( “Sotto specie umana”) è uomo pellegrino, protagonista della esistenza.
Il confronto con Leopardi sarà costante e necessario e, nonostante le differenze, l’idea diversa della esistenza, dell’uomo e del mondo, ci sarà una cosa fondamentale che li accomunerà: la “necessità” della Poesia, come valore assoluto di ricerca della verità.
Nel finale del “ Viaggio terrestre celeste di Simone Martini” Luzi scrive:

“ C’è Silvia,
c’è l’assenza di Silvia, il suo ricordo
e la sua dimenticanza. C’è il silenzio della voce di lei in quelle stanze,
dentro quelle finestre.
…..
c’è la quiete successiva, c’è l’esultazione,
il rapimento.
Può essere e non essere stato
questo, come altro
essere ritirato
dall’umana conoscenza
ma la sua verità no”.
(7)

Che meraviglioso dialogo con il poeta di Recanati; quale meraviglioso invito a non considerare conclusa una esistenza che può vivere oltre la morte.
Luzi, per tutta la vita, è stato un ricercatore di sé stesso, della sua anima e del mondo e di quella dei suoi poeti amati( Dante, Petrarca, Leopardi, Ungaretti, Montale e dello stesso Pirandello).
In più, Luzi è stato anche testimone del suo tempo, del nostro tempo, del mio tempo.
Nel 1946, quando l’Italia è venuta via da una guerra disastrosa, devastante, carica di morte e disperazione, di tenebre che avevano avvolto il mondo e gli esseri umani, quando al dissolversi delle ombre rimaneva muta la domanda a che tutti quei lutti, quelle lacrime, quel sangue, quella immagine ( “un nitrito s’impiglia fra le nuvole”) (8) e tutto sembrava essere ostacolo insormontabile al recupero della vita, Luzi è lì a ricordare che, fuori da tutto quello, c’era ancora posto per la speranza e che tutto era ancora possibile. Egli aveva previsto il certo orrore della guerra fin dal 1940 in “Avvento notturno”, la escalation della violenza, la radicalizzazione del regime dittatoriale in Italia, la tragedia della guerra civile e nonostante ciò continuerà a coltivare la fiducia in una rivelazione, invitando l’anima a rimanere vigile anche di fronte alle pulsioni di morte, così incombenti.
Parafrasando Eliot, con la sua “Terra Desolata”, è presente nel 1952 alla desolazione di una Europa, stremata dalla fame e dalle tragedie individuali e collettive; eppure scrive “ Primizie del deserto”, in cui ci ha fatto intravedere i germi della vita che rinasce, a patto che ognuno riconosca le proprie colpe e si assuma le responsabilità di fronte alla Storia ( ancora Dante e il Purgatorio).
Negli anni successivi, quelli del neo-realismo, il suo linguaggio si fa più diretto, più chiaro, come è voluto dall’intellettuale dell’epoca ed è partecipe di quella temperie culturale, fino ad arrivare agli anni ’60, quando sulla scena poetica irrompe il “ Gruppo 63” e la neoavanguardia, oltre ai cambiamenti sempre più radicali della società. E nasce “ Nel magma”, che è vocabolo che bene si attaglia alla trasformazione magmatica che interviene e alla crisi della intellettualità dell’epoca( si pensi a Pasolini e alla sua visione quasi allucinata della realtà, frutto della caduta di ogni speranza che il mondo potesse cambiare). Nel caos creato dal neo-capitalismo e successivamente da quelli che saranno “ gli anni di piombo”, Luzi testimonia di una cancerizzazione dei rapporti umani che assale anche le parole, fino a giungere nel ’78 con l’attentato ad Aldo Moro a scrivere che si è ormai “ Nel fuoco delle controversie”, un rogo in cui oltre alla Repubblica può bruciare anche la poesia. E si rende necessario sospendere ogni giudizio perché, se il poeta è un individuo diventato uguale agli altri individui, per ridare una luce alla propria anima e a quella del mondo in cui vive, si deve tornare alle origini, a quella metafisica contemplativa, simbolica e orfica da cui si era partiti anni prima. E nasce “ Battesimo dei nostri frammenti”. Il mondo ormai si può conoscere solo attraverso i suoi frammenti e non più nella sua totalità. Che può fare il poeta allora, se non raccogliere quei frammenti con la poesia e disporli verso un significato? Se battezzare un essere umano significa imporre un nome nella sacralità della esistenza, battezzare i frammenti significherà allora dare loro le gambe per incamminarsi verso una rinascita possibile.
Luzi è stato il custode delle parole. Ѐ stato colui che ha cercato di riconciliare il mondo e con la parola, se pur insufficiente; ha cercato di interrogare, ascoltare, dire e dialogare con l’indicibile per capire l’essenza dell’esistente.
Per tutta la sua vita ha avuto una considerazione altissima della poesia, della quale diceva che non bisognava chiedersi l’utilità, ma domandarsi, invece, che cosa il mondo sarebbe senza di lei.
Poesia come ponte tra uomo e divino, impronta di Dio nell’uomo: concetto ermetico del vincolo dell’uomo con l’Assoluto e della profondità metafisica della parola.
Alla poesia assegnava l’incarico di indagare come poter riedificare l’ordine smarrito nella contemporaneità col trascendente e di cui l’uomo sente la mancanza e ne prova rammarico. Ecco perché la sua produzione poetica può molto schematicamente essere divisa in due momenti. Il primo, legato alla vita dell’uomo, alla sua esistenza terrena caratterizzata dalla inquietudine di affrontare e superarne le complessità con l’obiettivo di giungere al “ giusto” dell’esistere. Il secondo, caratterizzato dalla adesione dell’uomo a una comprensione reciproca con gli altri uomini in un ottica di comunione cristiana, per poter affrontare la comune dolorosa finitudine.
La parola deve, pertanto, confrontarsi con la rivelazione ed essere capace di portare una luce di verità ( Holderlin diceva che “siamo colloquio”: che è mettersi di fronte al trascendente, intercettarne le parole, la speranza. In un “sacco di misteri”, allora, può prendere corpo una fede, una “ fede interrogante”, che si nutre di parole).

E la sua poesia, fin dall’inizio, dalla sua prima pubblicazione, si è alimentata di versi perfetti, nella forma e nella sostanza, fino a raggiungere, come dice Sanguineti, risultati altissimi ad esempio nelle “ Primizie del deserto”, in “Onore del vero” e “Dal fondo delle campagne”, dove con endecasillabi magnifici, e talora con meravigliosi alessandrini, il poeta analizza in profondità una metafisica che fluttua tra platonismo e cristianesimo, tra il divenire dell’esistenza e l’essere, tra il tempo umano e l’eternità, tra presenza e assenza, “tra forre grigie e cave viola”, “ tra oscuro e manifesto”, “tra vigilia e sonno”, “tra la vita e sua sopravvivenza”, “tra il prima e il poi …”.
Poesia, dunque, che deve tendere ad entrare nell’anima delle cose, degli eventi esistenziali, nel fuoco della realtà e raggiungerle con purezza e tendere a diventare nobile. Luzi come Rebora, come Eliot, sosterrà sempre, nei suoi versi, che solo la poesia può entrare nel reale e dire quello che è vero.
Ce lo ricorda Mario Marchi in occasione per il Premio Firenze “ Mario Luzi nel 2021 ”. Luzi, per l’autore, afferma che è stando «da dentro il patema», e scrivendo poesia, si realizza il «tentativo di rimettere l’uomo di fronte a se stesso, in questo perverso processo di disumanizzazione che è in corso» e il “parlare con voce di chi è dentro la prova e non l’ha né rifiutata né misconosciuta, è abbastanza per giustificare ancora il poeta e ancora iscrivere il destino della poesia nel destino del mondo”.
Compiano allora i poeti il percorso con le possibilità, anche limitate, che hanno.

“Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l’acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
̶ Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà più perfetta”

( 9) ( da “ Presso il Bisenzio”- “ Nel magma”)( 9)

Il poeta, che si è fatto scriba, continuerà ad usare i suoi inchiostri per annotare, attento a quanto attorno a lui muore, tutti i segreti inseriti nel codice della vita e la serena immutabile forza dell’esistere.
La poesia, per Mario Luzi, è opera creata dall’uomo, fatta dall’uomo, e come tale è inserita nel processo di creazione del mondo, di quella creazione che proviene da altro” grande fattore”. Tutta l’opera poetica di Luzi diventa così, da questo punto di vista, la ricerca, il rinvenimento, la rigenerazione di una unità spirituale.
Se l’esistenza umana contiene tragicità,sofferenza, drammaticità,tuttavia non può non avere un senso. La poesia diventa per il poeta allora il luogo per interrogarsi sulla oscurità che si profila al di là della vita e sulla esistenza di una possibile illuminazione. E qui che la poesia luziana acquista una dimensione religiosa, riflessione di un rapporto tra l’uomo e il creato.
Per inciso è giusto annotare che la questione del linguaggio ermetico nasce proprio da questa relazione con l’Assoluto. In che lingua Dio parla a noi uomini? Ci sono secoli di silenzio, dopo la venuta del Cristo, in cui il linguaggio del divino è rimasto in uno scrigno di difficilissima interpretazione. L’ermetismo diventa espressione del trascendente, perché
il trascendente sceglie questo modo di esprimersi, piuttosto che il linguaggio chiaro.
Questo orienterà Mario Luzi verso un cristianesimo profondo che si stempererà con l’incontro con altri sistemi filosofici.
Varcare regioni ignote mentre “ … la penosa ansietà d’esistere ci brucia e incenerisce” (“L’alta, la cupa fiamma ricade su di te”- Tutte le poesie ) Sanguineti ( 10) parla di un “cristianesimo autoctono”, toscano, nutrito dal pensiero cattolico francese e che, dal punto di vista letterario, interpreta benissimo quella linea orfica che discende da Mallarmè, avendo in sé la capacità di equilibrare il pensiero fra l’umano e il divino, fra il Creatore e la creatura.
Questo rapporto, così ricorrente non solo nel poeta, ma in ognuno di noi, attraverso la poesia di Luzi, mi hanno condotto a riflettere che egli ci invita a riequilibrare anche il nostro pensiero: infatti, di fronte al male e all’ orrore di cui è capace l’essere umano, è facile smarrirsi e arrivare alla conclusione che tutto, bellezza, giustizia, pace, viene sommerso dall’oscurità della barbarie e nulla può modificare questo destino. Ebbene, per Mario Luzi, questa realtà si può calare in un evento che sarà sempre dirimente per l’umanità: la morte e la resurrezione di Cristo che, pur nel suo mistero, non lascia terreno alla disperazione.
La poesia tutta di Mario Luzi è porta aperta alla speranza.
Basta riferirsi e poi riflettere a quanto egli scrisse e fece leggere durante una indimenticabile Via Crucis.

“Tu entri nel groviglio umano e lo disbrogli
da questi nodi delle esistenze temporali.
In te pietà e amore riempiono l’abisso
di questa differenza. Intendimi”

( Luzi 1999 a:8)

Per vivere non si può perdere la fede nella vita e cedere alla paura: sì, oltre, c’è l’eterno sonno che è opposizione alla veglia ma è immersione in questo mistero, che è tuttavia parte della creazione e che in quanto tale la nostra ragione non può disconoscere.
E qui la poesia ci aiuta e diventa necessaria.
Nell’ottobre del 2004, Mario Luzi dava alle stampe l’ultimo suo libro: “Dottrina dell’estremo principiante”.
Era il suo congedo.
Ma è un congedo del tutto particolare: ha dentro, già dal titolo, un insegnamento per tutti noi uomini e per i poeti e scrittori, in particolare. Lui si allontana da noi, non come un Maestro della poesia, ma come un principiante.
E’ il suo straordinario messaggio: non bisogna mai ritenersi sapienti una volta per tutte, ma con umiltà, costanza, volontà, continuare sempre a cercare la verità, soprattutto se è occulta o apparentemente incomprensibile e la Poesia, oltre alla Filosofia e alla Scienza, deve essere strumento di quella conoscenza che ci può dare la forza per ricominciare sempre a interrogare la rivelazione.

Note :

1 – Dante Alighieri “La Vita Nova”-
2 – Mario Luzi “ La Barca”
3 – Mario Luzi: “La ferita nell’essere” a cura di Valerio Nardoni – Bibl. di Repubblica 2005 – p.11
4 – Mario Luzi “ Primizie del deserto.”
5 – Paola Baioni “ Mario Luzi e l’umanesimo fiorentino” –Rev Soc.Esp.Ita. 12, 2018 pp. 7-15 –Ed Universdad de Salamanca.
6 – Jacques Maritain “ Umanesimo integrale” – 2002 – Ed, Borla, Roma
7 – Mario Luzi “ Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”
8 – Mario Luzi “ Un brindisi”
9- Mario Luzi “ Nel magma”
10- Edoardo Sanguineti “Poeti Italiani del Novecento” – Oscar Classici Mondadori -2000

Altra bibliografia consultata
“La costanza della poesia” ( Poesia- Crocetti n. 123)
“Sul nuovo Mario Luzi: il lessico della luna nascente” ( Poesia 132 – Crocetti)
“Mario Luzi: “Guardava con tenerezza alle cose” ( Poesia 141- Crocetti)
”Lezioni di Poesia Mario Luzi, L’endecasillabo ( Poesia 146- Crocetti)
“Per i novant’anni di Mario Luzi” (Poesia 187 – Crocetti)
“Vetrinetta accidentale” ( POESIA 212- Crocetti)
“Per il centenario” (Poesia 297- Crocetti)
MicroMega 3/96 p. 197
“Il vecchio Luzi vola da solo” ( Mercurio 19-05-90)
“Brindisi per un amore malinconico” ( Mercurio 31-03-90)
“Omaggio a Mario Luzi” ( Trib Lett. 77)
“ Uno sguardo sul Novecento” ( Atelier 09-04)
In “ IL PENSIERO POETANTE.Gli Angeli pag.29

Saggio di Zaccaria Gallo

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