Parliamo di noi

L’A.P.S. “Ora Blu” a Libri nel Borgo Antico 2021- Bisceglie

1 Settembre 2021

Libri nel Borgo Antico 2021 – Bisceglie

Libri nel Borgo Antico è la Kermesse letteraria dell’omonima Associazione, nonché l’evento di fine estate più atteso nella nostra Bisceglie.
L’Associazione di Promozione Sociale “L’Ora blu”, quest’anno porta sui palchi, nelle varie location, quattro nostri soci.
Si comincia Venerdì 27 agosto. Alle 21,10 in Largo Piazzetta, Gianni Palumbo, nostro socio onorario, presenta: Per Luigi non odio né amore (ed. Scatole Parlanti). Lo affianca Vincenzo Carelli.
Sabato 28 agosto alle ore 19,50 in Piazza tre Santi, è la volta di Maria Teresa Gallo, membro del Consiglio direttivo, che presenta Declinazioni di un colore (Secop ed.). Ad affiancarla la Vicepresidente Maristella Lupone e il Direttore artistico Zaccaria Gallo della nostra Associazione.
Si conclude il tutto domenica 29 agosto che vede la presenza di ben due socie.
Alle ore 18,00 in Piazza Duomo, Graziella De Cillis presenta la silloge poetica Maree ( Casa Ed. Pagine). Ad affiancarla Neri Genesio Verdirosi e Francesco Sinigallia.
Alle 20,00 nella stessa Piazza, tocca a Giovanna Sgherza con il suo libro Fiori di Bucaneve (Pav. Ed.). A presentarla la Presidente de “L’Ora blu” Marta Maria Camporeale, Maria Lacavalla Tesoriera e lettrice, e Girma Mancini, socia e lettrice.
In  elenco, recensioni dei libri e foto dei vari eventi.

Per Luigi nè odio nè amore – di Gianni Antonio Palumbo

Nonostante la sua fresca età, Gianni Antonio Palumbo è un narratore di lungo corso. Infatti ha esordito a vent’anni col romanzo “nero” I fantasmi di un poeta (1998), dandosi poi al genere fantasy col romanzo Krankreich. Tramonto di un sogno (2000), vincitore del Premio “Valle dei Trulli” per la “Letteratura giovane”. L’itinerario è proseguito col romanzo «minimal-metafisico» Eternità. La leggenda di Destino e Sospensione (2003) e con la bella silloge di racconti Il segreto di Chelidonia (2014).
Redattore di «Quindici» e «Luce e Vita», professore di lettere e latino al Liceo “Matteo Spinelli” di Giovinazzo, docente esterno a contratto presso l’Università di Foggia per Metodologia della critica letteraria e Filologia della Letteratura italiana, direttore artistico della “Notte bianca della Poesia”, intenditore d’arte e raffinato critico letterario, Gianni Palumbo è uno specialista della cultura umanistico-rinascimentale, segnalatosi tra l’altro come editore critico delle Rime di Isabella Morra (2019). La sua poliedricità è resa più sfaccettata dalla raccolta di poesie Non alla luna, non al vento di marzo (2004) e da numerosi testi teatrali, alcuni dei quali pubblicati dal 2011 al 2014 sulla rivista «La Vallisa» (Lena, Il diavolo a cavallo, Chi ha paura delle ombre?, La preghiera di Eleonora).
La produzione narrativa di Palumbo è stata incrementata nel luglio del 2020 dal romanzo Per Luigi non odio né amore, pubblicato dalla casa editrice “Scatole Parlanti” del Gruppo Utterson di Viterbo (pp. 204, € 15). Esigenze editoriali classificano in copertina quest’opera come “giallo”. Più esattamente il romanzo va inquadrato nel subgenere “noir”, ma le forti implicazioni introspettive e pulsionali lo avvicinano molto al romanzo psicologico.
Da dove proviene il titolo di quest’opera? Proviene dal discorso di Robespierre per la condanna a morte di Luigi XVI: «… non ho per Luigi né amore né odio. Odio solo i suoi delitti». La frase viene pronunciata dallo studente Giulio Ancona per la fine del prof. Enrico Verdi, precipitato dalla torre campanaria della chiesa della Maddalena nella cittadina immaginaria di Candevari, in provincia di Brindisi. Viene poi ripetuta dal giovane, geniale e tormentato docente di disegno Mattia Landi nei confronti del coltissimo accademico Arturo Molteni, plagiatore di coscienze fanatico di Robespierre e uomo occultamente violento.
Il titolo, insomma, allude all’atteggiamento di distacco dell’autore nei confronti del milieu descritto, pregno di vessazioni militaresche, tensioni sociali e violenze varie, in una densa mescidanza di amore, sesso e morte, cui fa da contraltare il «paese innocente» delle proprie bambine, dedicatarie dell’opera.
Tutto accade nel 1978, anno del processo alle Brigate rosse, del rapimento e assassinio di Aldo Moro, della legge sull’aborto, delle dimissioni del presidente Leone a causa allo scandalo Lockheed e dei pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.

Per ovvi motivi, la trama può essere solo accennata, ma basti sapere che in quel contesto storico a Candevari, dove al di là dei trulli del borgo vecchio, si ergono l’Istituto “Principe Amedeo”, ricetto di orfani problematici provenienti da vari luoghi d’Italia, e l’Accademia Amaranta, prestigioso collegio per adolescenti della ricca borghesia, la sparizione di Mattia Landi mette in moto le indagini del commissario Giuseppe Fano e della più sagace collaboratrice Marta Salvo. La donna, abbandonata da tempo dal marito, finisce per subire il fascino di Giulio Ancona, violinista provetto e allievo prodigio dell’Amaranta, la cui bellezza nasconde tuttavia un malvagio «cuore di ghiaccio».
In un movimentato susseguirsi di vicende, si assiste all’incendio di un’area della biblioteca dell’Amaranta, al mistero di un’ombra femminile amante dei lepidotteri che si aggira di nascosto nella stessa biblioteca, al tragico volo del prof. Verdi, alla morte della sedicenne Fiorella Giudice in séguito a un fallito stupro di gruppo, ai perfidi intrighi del prof. Molteni, all’infatuazione omosessuale di suo figlio Salvo, alla follia e alla rovinosa caduta della sua seducente figlia Eleonora e via dicendo.
Il romanzo di Gianni Palumbo presenta un impianto plurilinguistico che nel sorvegliato dettato italiano innesta, a seconda dei personaggi, frasi rumene, motti e versi latini, espressioni dialettali brindisine e certi guizzi crudamente realistici della parlata bassa o giovanile. Non mancano citazioni colte letterarie, musicali ed entomologiche, come gli accenni all’Attacus atlas, la tropicale farfalla cobra, o alla Gonepteryx cleopatra, la mediterranea farfalla cleopatra, alle quali fa riscontro la spilla con una farfalla nera sottratta da un ragazzo dell’Amaranta alla Giudice ormai morta, il cui ritrovamento in un cassetto è contemporaneamente sconvolgente e risolutivo per la dottoressa Salvo.
La costruzione narrativa del romanzo si avvale sapientemente di descrizioni, dialoghi, lacerti onirici, retrospezioni, mutamenti di focalizzazione con pagine di diario, una lettera e un verbale, ma attinge anche al flusso di coscienza e a calibrate riprese di blocchi testuali circoscritti, finalizzati all’illuminazione di momenti anteriori durante rimuginamenti rivelatori. In un alternarsi di colpi di scena, il plot si dipana avvincente con un ben dosato climax ascendente, conquistando il lettore con una storia intricata e intrigante.

“Declinazioni di un colore” – Maria teresa Gallo

DECLINAZIONI DI UN COLORE. SEDICI RACCONTI TINTEGGIATI DI ROSSO.

Che l’idea di un artista possa germogliare da un colore o in esso conoscere felice espressione è un concetto ormai ampiamente declinato. Nella storia dell’arte, il pensiero corre subito a Kazimir Malevič, con il suo Quadro nero su fondo bianco o con la Composizione suprematista, quadrato rosso e quadrato nero. Ulteriori esempi potrebbero essere addotti a riprova di quest’affermazione, dal rinascimentale Dialogo dei colori di Ludovico Dolce al Colore viola di Alice Walker, sino al cinema di Krzysztof Kieślowski e (perché no?) al ‘profondo’ rosso argentiano.
È così che accogliamo con interesse, ma non con sorpresa, questa interessante operazione compiuta dalla casa editrice Secop con le sue Declinazioni di un colore. Sedici raccontati tinteggiati di rosso, agile antologia, curata da Maria Teresa Gallo. Quest’ultima, partendo dall’idea che “il rosso abita in ciascuno di noi”, ha invitato alcuni autori, “combriccola di ‘pittori di parole rouge’” a ‘fluttuare’ in tutte le declinazioni del colore, bandendo però dal consesso, in un ideale rifiuto del suo spargimento, il “rosso sangue”.
Ne è venuta fuori una raccolta dagli esiti vari, che punta prevalentemente sul racconto breve (a volte anche di due pagine), in una tensione all’espressione ora lirica ora impressionistica ora ragionativa e, in alcuni casi, schiettamente narrativa. Citeremo i sedici autori, ciascuno dotato di una propria cifra e di una peculiare forza suggestiva: Ester Basile, Marta Maria Camporeale, Marisa Carabellese, Massimiliano Cavallo, Slobodanka Ciric, Angela De Leo, Carmen Dinota, Rita Felerico, la stessa Maria Teresa Gallo, Pasquale Gallo, Zaccaria Gallo, Raffaella Leone, Girma Mancini, Roberto Masi, Maria Rosaria Rubulotta e Lucia Cervelli Stefanelli.
Il fil rouge (è proprio il caso di usare tale termine!) è stato variamente sdipanato, con innesti anche di versi intensi nel tessuto di alcuni racconti (Camporeale, Cavallo, De Leo), con la ripartizione in movimenti simil-musicali che convergono verso il finale (Felerico) o magari nelle maglie di un intimo colloquio (in realtà monologico) con un Tu non compresente, come avviene nel bel racconto di Ciric.
Alcuni testi sono connotati da un incedere surreale, ipnoticamente e argutamente metafisico nel caso del Turbante di van Eyck di Marisa Carabellese. Tributando un divertito omaggio alla pittura fiamminga, l’autrice introduce elementi onirici in un fascinoso compenetrarsi di arte e vita, sino alla sorpresa finale (una sorta di aprosdòketon) che non sveliamo. Una fiaba surreale e romantica è il Coprifuoco rosso di Raffaella Leone, in cui rivivono i temi della denatalità e la paura dell’impegno che, a meno di un folle atto di fede nella speranza della Vita, espone la civiltà occidentale al rischio di un lento esaurimento. Non è casuale che il messaggio salvifico, quello che induce al passaggio dei personaggi da una ludica inconsapevolezza a una volontà nuova, provenga proprio da una “giovane mamma sudamericana”… Un’aura metafisica che affonda le radici nella realtà concreta ha anche il racconto di Zaccaria Gallo. Notevole per la forza epifanica che lo contraddistingue, esso si connota per un particolare vigore che ci riconduce al “segreto respiro dell’esistere”.
Non mancano storie che affiorano dal passato, come nel caso del bel testo di Massimiliano Cavallo, o che si soffermano su temi nodali del dibattito sociale: il riferimento all’immigrazione, tema affrontato con levitas, con innesti dialettali, dalla Cervelli Stefanelli.
In molti racconti vibra un senso di nostalgia, che ci appare la nota dominante in questi “attimi rossi” offerti dagli autori. Affascinante è il microcosmo familiare d’antan donatoci con sguardo sognante da Marta Maria Camporeale. La casetta rossa di Girma Mancini, affrontando il tema della nostalgia dei contatti epistolari, ormai quasi scomparsi, muove dall’iniziale senso di perdita alla speranza. Pasquale Gallo rinverdisce in Rosso anguria certi rituali sociali campestri (compreso il sorgere di amori che si credevano eterni e puntualmente duravano lo spazio di un giorno), elevando un sentito inno all’estate. Maria Teresa Gallo ricorda la Festa dell’Unità del 1976 e omaggia un celeberrimo artista scomparso prematuramente e tanto rimpianto. E poi vibrano ancora i temi dell’amicizia sullo sfondo magico di Venezia (Basile) o di un incontro di donne elaborato mentalmente grazie alla malia del ricordo di Frida Kahlo (Rubulotta). Vogliamo infine menzionare l’esplorazione interiore propria delle prose di Dinota e Masi, in cui non mancano accensioni liriche.
In tutti si coglie un’ansia di vita e rigenerazione che trova la sua più compiuta espressione nella vicenda, narrata da Angela De Leo, di Elodie uscita da una clinica nel bel mezzo dell’emergenza pandemica. Una storia di rinascita, suggellata dai “papaveri rossofuoco” riaffiorati da innocenti rituali amorosi adolescenziali, descritti dall’autrice con delicatezza e grazia sbarazzina. Come quei “papaveri ubriachi di sole”, al pensiero di un ricordo caro al cuore, un appuntamento ideale che riaffiora dal passato per rendere più dolce il presente, la donna si riaprirà speranzosa all’indecifrabile stagione del futuro.

Gianni Antonio Palumbo

 

Maree di Graziella de Cillis

Graziella de Cillis, nata a Milano nel 1964 residente a Bisceglie dal 1970, sposata due figli. Diplomata Perito commerciale, scrive poesie dall’adolescenza, produzioni intervallate da periodi di inattività. Ha ripreso appieno da qualche anno approcciandosi anche a racconti spesso autobiografici; predilige la poesia introspettiva ed ermetica. Vincitrice di concorsi nazionali, vanta pubblicazioni in numerose antologie di poeti contemporanei.
Silloge poetica “Maree”
Parole, versi dei ricordi, delle emozioni che le poesie di Graziella De Cillis aprono alla mente del lettore, che leggendo s’inoltra nei languidi e dolci momenti di tenerezza, di gioia, di passione che ci accompagnano nell’odoroso salino spumeggiare del mare. Percorrere insieme a Graziella De Cillis i meandri della sua mente è splendida poesia che ci accompagna nell’intimo del cuore dei nostri sopiti sentimenti.
Perchè scegliere Maree come titolo della mia prima raccolta di poesie? Perchè il mare è fatto della nostra stessa essenza. I nostri fluidi vitali, lacrime, sudore, sangue sono alini come l’acqua marina; ed anche le maree rispecchiano la nostra stessa esistenza.
L’influsso della luna e del sole determinano i movimenti marini, il destino determina le fasi della nostra vita.
Nelle mie poesie c’è spesso il richiamo al mare, proprio perchè lo sento simile a me e le sue maree simili al mio percorso di vita.
noi siamo maree.. avanzamento e retrocessione, gioia e tristezza, prendere e lasciare, e il mare è la potente metafora dell’essere umano, il suo agire contrapposto alla sua apatia. Non c’è luogo dove esiste il giusto equilibrio, la vita è in continuo movimento e, finchè la si vive, bisogna lottare ed agire.
Tutto ha movimento solo se noi lo vogliamo, spesso il vuoto della bassa marea è dentro di noi e non sempre sappiamo opporci. E qua la forza dell’alta marea… la spinta a rinascere, ad emergere, a farsi trascinare dalle onde, accettare il destino ed andare avanti.
Graziella De Cillis

 

Fiori di Bucaneve di Giovanna Sgherza

Fiori di Bucaneve di Giovanna Sgherza

Questo libro, nato nel dicembre del 2020 da Pav edizioni, in piena pandemia, conserva, racconta, commenta, un significato intimo e vero che solo una riflessione post lettura può cogliere. Il titolo Fiore di Bucaneve, si identifica nella metafora del fiore simbolo di purezza, affidamento. La resilienza la si coglie perfettamente nei racconti, nel comportamento dei protagonisti che non si abbattono di fronte agli ostacoli, alle aggressioni, alle scorrettezze; perseguono tenacia e volontà fini nobili della vita. Il colore di fondo della copertina, scelto con maestria, simboleggia la perseveranza. A primo impatto infonde calma e serenità, voglia di averne possesso. Nelle storie, in questi quattordici racconti, episodi staccati che non hanno alcuna consonanza fra loro, vediamo invece forte il leitmotiv del legame sentimentale, morale, amicale, di sangue. È messo costantemente alla prova in essi. Si  contrae, si scioglie, laddove gli eventi cambiano forma alle cose, alla vita, all’affetto. La consolazione arriva nei messaggi diretti nel quotidiano, o nelle metafore improvvise. Queste ultime hanno come protagonisti soprattutto gli animali. Cito alcuni racconti a nota di osservazione:
In  Seven days, il legame fra uomo e animale è talmente primordiale, da emergere anche in condizioni estreme.
In Voce di un abbraccio, lo si coglie nel linguaggio teatrale del monologo. Una successione di battute pronunciate senza vuoti di memoria, né tentennamenti, che dimostra il superamento del dolore attraverso la forza del ricordo.
Un sogno per Jared, è connessione delle diverse culture, il legame è negli obiettivi comuni. Narra l’opportunità di ricevere, tanto proficua quanto più si è disposti ad accogliere.
In Memorie di un casolare si legge il profondo legame  dell’amicizia, spesso confuso alla conoscenza profonda. Un’amicizia vera è sempre ragione d’empatia, e, come nel racconto, inizia sempre da un atto di curiosità.
I rapporti in seno al piccolo nucleo  famigliare sono complessi come la società stessa. Essa porta in sé dei “pesi” che si riflettono sulla famiglia. Laddove mancano i riferimenti primari, il resto dei famigliari ne assume il carico. Sono i legami più toccanti di questi racconti. Ce ne sono diversi. Le risoluzioni sono tortuose, ma non impossibili. Questo l’autrice lo racconta molto bene. Il “riparo della famiglia” più sicuro di qualsiasi aiuto sociale. La famiglia tradizionale poi, è atomo attivo della società, sede di crescita dei futuri e buoni cittadini e dell’amore.

Credere nell’amore, come legame numero uno, è una specie di speranza. Le parole in questo libro veicolano sentimenti e spesso diventano poesia. L’amore, è vero, è una reazione chimica, ma è anche crasi di ragione e  sentimento.
Le sembianze dell’amore, che si leggono nei racconti di Giovanna Sgherza, reagiscono fuori dal controllo umano.
Hanno la straordinaria “presunzione” di sbocciare come Fiori di bucaneve.

Marta Maria Camporeale

 

 

 

 

 

 

 

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